Anonima intangibili - Storie marziane
apprezzata dal pubblico e favorevolmente recensita: una sola lettera di commento
sfavorevole, in confronto a parecchie altre positive. L’invito a ripetere l’esperimento ci è
stato rivolto da più parti, e possiamo ragionevolmente annunciare l’uscita della prossima
antologia per i primi mesi del prossimo anno. Sempre nella speranza che si arrivi alla
creazione di un vero e proprio mercato italiano, dato che i nostri autori hanno tutte le
capacità per diventare seri professionisti; e che si sfatino definitivamente tutti quei
pregiudizi che purtroppo ancora esistono, derivanti soltanto da malintesi ed iniziative
errate. Ed ora veniamo ad Avventure Marziane, il volume che conclude questa annata cosi
fitta di novità. Per l’occasione abbiamo un autore classico e ben conosciuto, e un
romanzo-antologia in cui il protagonista dominante è il rosso pianeta che ha fornito
ispirazione a tanti scrittori di sf. L’accostamento del titolo con quello del capolavoro di
Bradbury non è stato casuale, ma dettato dal contenuto stesso dell’opera. I cinque
racconti che la compongono sono stati scritti negli stessi anni in cui Bradbury poneva
mano alle sue Martian Chronicles ed è possibile che reciproche influenze abbiano avuto il
loro peso nella stesura di entrambe le raccolte. I racconti della Brackett hanno certo una
maggiore propensione per l’avventuroso, ma ciò non ne intacca minimamente il valore, in
quanto questa avventura compone solamente lo sfondo sul quale si muovono personaggi
ammalati di malinconia e di un’insolita stanchezza mortale che li fa opporre, spesso
sterilmente, ad un destino già decretato. Nei primi quattro racconti l’alito dell’estremo
disfacimento di Marte permea di sé ogni protagonista ed ogni scena: le città dei Canali
Bassi sono ancora rigogliose, le tribù dei vasti deserti forti e decise a non venire a nessun
compromesso con la civiltà degli odiati invasori; ma in ogni istante tornano ossessivi il
ricordo del pianeta morente e l’immagine dei canali che si stanno prosciugando. Lo stesso
capitano Winters che ripone nello Shanga l’ultima speranza di ritrovare la fidanzata
scomparsa, il medico che in Bisha decide di opporsi ai crudeli riti di un passato non ancora
sommerso dalla sabbia del tempo, l’antropologo che intende visitare la città fantasma di
Shandakor, il giovane studioso terrestre incuriosito dagli usi e dalle abitudini dei Marziani,
tutti quanti non sono che attori e marionette inconsce sul vasto e pericoloso
palcoscenico rappresentato dalla sabbia rossa sconvolta dal vento. Il pianeta fagocita
queste creature straniere, simile ad una gigantesca ameba rossastra, e le costringe con
una violenza ed una crudeltà senza pari a sottomettersi alla sua volontà. Quasi tragedia
dell’ignoto, dunque, dove l’uomo tenta inutilmente di sottrarsi alla stretta che lo soffoca e
deve inevitabilmente rassegnarsi. Solo nell’ultimo racconto sembra profilarsi una
soluzione, ed è proprio un terrestre ad enunciarla, dopo averla sperimentata di persona.
La morte non può essere vinta dalla vita, e quest’ultima può soltanto assistere impotente
alla lenta vittoria della prima. Tragedia, abbiamo detto, a livello cosmico e personale, per
ognuno dei protagonisti. Dopo di che, come è d’uso, passiamo a rivolgere i nostri più
cordiali auguri a tutti i lettori, che nel giro d’un anno sono diventati per noi quasi una
seconda famiglia. Auguri per tutte le feste che s’annunciano, per il .nuovo anno che
arriva, per l’aria piacevolmente eccitata che si respira in questi giorni. Auguri che
ovviamente non vengono solo da noi due, ma da tutti coloro che ci lavorano fianco a
fianco per il continuo miglioramento della rivista: dall’editore a Roberta Rambelli, a Ugo
Malaguti, a Sandro Sandrelli, a Lino Aldani, a Riccardo Valla, ad Aurelio de Grassi, a
Gianfranco de Turris, a Carlo Pagetti, ad altri ancora che ci hanno offerto consigli
particolarmente preziosi. Un grazie a quanti ci hanno seguiti e un arrivederci al prossimo
anno; e con questo abbandoniamo definitivamente il campo al lavoro di Leigh Brackett,
mille volte più piacevole di queste nostre righe un po’ sconclusionate e commosse.
Tellini
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