I testimoni dell'immaginario. Tecniche narrative dell'Ottocento americano |
Steso con una buona dose di incoscienza, il progetto originario [del libro] consisteva in |
una prima parte «pre-jamesiana», tesa cioè a individuare le premesse della tecnica |
narrativa del «limited viewpoint» in Irving, Hawthorne, Poe, Melville, senza dimenticare gli |
ovvi legami con la saggistica inglese del Settecento; in una parte centrale tutta dedicata |
a James, e alle diverse accezioni che nella sua opera viene ad assumere il ruolo, solo |
apparentemente fisso, del «narratore esterno» o testimone, e infine in una terza parte |
dove tale «ruolo» doveva essere colto nella sua istituzionalizzazione (certo Mark Twain, |
certo O. Henry, giù giù fino ad applicazioni giornalistiche) e nella sua crisi novecentesca, |
legata s’intende a fenomeni non solo letterari (l’impotenza metaforica e non del Jake |
Barnes hemingwayano, l’«idiozia» del Benjy di The Sound and the Fury) via via fino al |
«dissolvimento» ravvisabile in Purdy, Barth, Nabokov, e in genere nel romanzo americano |
degli anni Sessanta. Com’è logico, quel che in sette o otto anni sono riuscito a |
rabberciare riguarda sì e no un terzo del libro: ovvero un’analisi di quattro scrittori |
dell’Ottocento, Irving Hawthorne Poe e Melville, con James come terminus ad quem e |
protagonista assente e sottinteso: quanto al resto, sarebbe d’obbligo la quadruplice |
invocazione melvilliana a Tempo, Forza, Pazienza e Denaro – se ogni accenno a sviluppi |
futuri, almeno in questo momento e in questa occasione, non rischiasse di suonare |
involontariamente minaccioso. |
Bonazzi |