L'incubo di Hill House
Chiunque abbia visto qualche film del terrore con al centro una costruzione abitata da
sinistre presenze si sarà trovato a chiedersi almeno una volta perché le vittime di turno
(giovani coppie, gruppi di studenti, scrittori alla vana ricerca di ispirazione) non optino,
prima che sia troppo tardi, per la soluzione più semplice - e cioè non escano dalla stessa
porta dalla quale sono entrati, allontanandosi senza voltarsi indietro. Bene, a tale
domanda, meno oziosa di quanto potrebbe parere, questo romanzo di Shirley Jackson - il
suo più noto - fornisce una risposta, forse la prima. Non è infatti la fragile, sola, indifesa
Eleanor Vance a scegliere la Casa, dilatando l'esperimento paranormale in cui l'ha
coinvolta l'inquietante professor Montague molto oltre i suoi presunti limiti. E piuttosto la
Casa - con la sua torre buia, le porte che sembrano aprirsi da sole, le improvvise folate di
gelo - a scegliere, per sempre, Eleanor Vance. E a imprigionare insieme a lei il lettore, che
tenterà invano di fuggire da una costruzione romanzesca senza crepe, in cui - come ha
scritto il più celebre discepolo della Jackson, Stephen King - "ogni svolta porta dritta in un
vicolo buio".
Bonazzi