La milleduesima notte
In una sera parigina del 1842 Gautier ha immaginato, o sognato, di ricevere una visita
straordinaria: quella di Shahrazad, moglie del sultano Shahriyar, e della buona sorella di
lei, Dinarzad, quella che ogni notte, per mille e una notte, ripetendo la formula di rito:
“Sorella, prima che faccia giorno, raccontate, se non vi addormentate, uno di quei
racconti che conoscete”, ha introdotto le sue storie mirabolanti.
Solo ora, spiega preoccupata la bella principessa araba, a forza di raccontare non ha più
niente da dire, ha detto tutto quello che sapeva. Esaurito il mondo della fantasia.
Raccontata l’ultima storia, volando sul tappeto magico dei quattro Facardini, è venuta in
tutta fretta a Parigi per chiedere l’aiuto dello scrittore più ricco di estro e avere da lui il
soggetto di una novella che gli faccia salva la vita. Perché Galland ha mentito e ingannato
tutti dicendo che il sultano dopo la milleunesima notte l’aveva graziata: è più che mai
avido di racconti, curioso e terribile come prima, come sempre.
Impietosito, Gautier improvvisa allora, non senza ironia, questa bellissima novella –
proposta qui per la prima volta in versione italiana, in un volume che comprende anche il
delizioso Il padiglione sull’acqua (1846) e la leggenda tedesca de Il bambino dalle scarpe
di pane (1849) – di fate innamorate, emiri crudeli, incantevoli notti arabe, poeti distratti.
E gli dà l’unico titolo possibile, pienamente legittimo, di “Milleduesima notte”.
Bonazzi