Ombre
Per più di dieci anni Daniele Brolli ha tradotto su riviste e quotidiani racconti di scrittori
come James Ballard, William Gibson, Philip K. Dick, Boris Vian, Henri Michaux, Chester
Himes. Tutti falsi, anche se non se ne è accorto nessuno; anzi, questi testi sono stati
accolti in bibliografie e tesi di laurea.
Come i grandi falsari, Brolli non si è limitato a copiare uno stile, a confezionare un semplice
patchwork, ma ha aggiunto un tassello all'immaginario degli scrittori imitati. Nel Silenzio
degli occhi troviamo un "Ballard" alle prese con turbamenti adolescenziali e mutazioni
amorose che fa da anello mancante tra Crash e il cinema di Cronenberg. Mentre in Le
cose che vengono prima "Hemingway" mostra una disperazione e uno stile disseccato che
preludono al miglior Carver.
Al di là del divertimento, questi racconti rivelano un grande amore per gli scrittori imitati, e
insieme il desiderio di smontarne l'universo e comprenderne il linguaggio come nessun
saggio critico riuscirebbe a fare. E, a volte, una cattiveria che sfiora, senza superarli, i
confini della parodia, come nell'irresistibile Al rallentatore di "Jay McInerney".
Come il detective di Manhunter, che si deve identificare col serial killer per catturarlo, lo
scrittore Brolli gioca con la schizofrenia: ma ne esce, come racconta nella conversazione
con Antonio Caronia che chiude la raccolta, con un'idea ben chiara di letteratura: che
cosa vale la pena, oggi, di leggere e di raccontare, per salvarsi da una realtà che uccide
l'immaginario
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