Casa «La vita»
Savinio pubblicò nel 1943, subito dopo Narrate, uomini, la vostra storia, questo libro di
racconti, che rappresenta in certo modo la summa della sua arte di narratore. Estraneo al
clima della narrativa italiana di allora, Savinio è quanto mai congeniale al nostro gusto di
oggi. Questi racconti, spesso terribili e comici, accennano fin dal titolo a quella che è
l’allegoria fondatrice di Savinio: la vita come una casa ingombra di un invincibile
bric-à-brac, folta di presenze ominose, che possono essere una poltrona o il busto
impolverato di una divinità pagana. Vivere è attraversare, in una sorta di perpetua
allucinazione, le stanze di questa casa, dove gli oggetti allusivi continuamente si
moltiplicano. Nessuno ha indicato l’essenza di questi racconti con la precisione di Savinio
stesso, in poche righe che si incontrano sulla soglia di questo libro: «Molti dei racconti
contenuti in questo volume sono ispirati dal pensiero della morte... Questo persistente
ritorno del tema morte non è avvenuto di proposito, sì per una necessità segreta che di
nascosto mi ha forzato la mano. Io stesso ne ho stupito e non mi sono avveduto del fatto
se non quando il fatto era già un fatto compiuto. Anche il nostro destino sembra talvolta
essere stato alla scuola di Machiavelli. Tanto poco chiaramente noi conosciamo anche
quello che generiamo noi stessi, ed esprimiamo dalla nostra anima, e formiamo con le
nostre mani. Così almeno avviene a me. Sono forse altre generazioni più coscienti e
controllate? È per questo felice stupore, per questo loro presentarsi inaspettate e nuove,
per questo venirmi incontro come da un altro mondo, che prima di farsi amare da altri le
mie opere si fanno amare da me; prima di divertire altri esse divertono me; prima che ad
altri esse dicono a me che nel buio quale dietro a me si richiude esse rimangono ferme e
formate di un fosforo immortale».
Virelli