Cancroregina
Cancroregina è il nome di una fantastica astronave, dal dorso lustro e dai mille occhi,
dall’«umor bizzarro», dalle «multiformi e complicate viscere». Il già vasto bestiario landolfiano
si arricchisce qui di una cosmica belva, nel cui ventre il protagonista trascina la sua eternità,
diviso fra la nostalgia di una vita pur ritenuta «impossibile» e il desiderio di una morte che
pare aver perduto i suoi connotati di certezza. A Cancroregina l’angosciato avventuriero di
questo lungo racconto, che apparve per la prima volta nel 1950, aveva affidato il ruolo di
«liberatrice, quella che sulle sue ali (del tutto metaforiche) doveva trasportarmi (non
metaforicamente) fuori del mio ingrato mondo». Naturalmente l’impresa ha tragico epilogo
(quasi tutto finisce male, in Landolfi) – e nulla cambia nell’opaco orizzonte del personaggio:
«Io sono solo qui dentro, solo e senza speranze, press’a poco come prima di cominciare
questo folle volo». La fulgida disperazione dell’autore, il suo sguardo volto verso l’interno,
impietoso nel valutare la dolorosa impasse di mezza vita e mezza morte in cui soltanto
riconosce la propria esistenza – e forse quella comune –, si dilatano in parole d’ampia eco,
nel diario di un antichissimo astronauta della mente e del cuore.
Virelli