Il monaciello di Napoli
Poco più che venticinquenne, Anna Maria Ortese pubblicò questi due racconti in riviste di
scarsa circolazione, dove sono rimasti sino a oggi sepolti. In quelle pagine si è serbata
intatta la prima impronta acustica di una voce che avrebbe poi continuato a risuonare,
incessante seppure fra intervalli di silenzi, sino alle pagine magistrali del Cardillo. È una
voce accorata e dolente, in cui si avverte l’eco di nostalgie mai sopite, di dolcezze
negate: ancora una volta, accompagnati dalla mano abile e insieme compassionevole
dell’autrice, dalla sua scrittura lirica e visionaria, avremo la ventura di incontrare figure
insondabili e arcane ma capaci di manifestare, a chi sappia intenderli, il loro lamento e la
loro ribellione. Sono «povere creature inimmaginabili»: come l’ombroso spiritello del primo
racconto, il Monaciello appunto, che vive «in un piccolo armadio dalla serratura guasta,
dalle porte malferme, fra cataste di panni scuri e penne verdi di pappagallo», e
l’enigmatico Fantasma, che altri non è che la Morte, del secondo: «abbagliante era lo
sparato della sua camicia di seta, l’argento dei bottoni da polso, il tovagliolo,
perfettamente inutile, posato Dio sa perché sul suo braccio sinistro; ma più d’ogni altra
cosa era abbagliante il suo sorriso in fondo agli occhi di tenebra». E ancora una volta
ritroveremo quel mondo, fra memoria e sogno, che è soltanto della Ortese, un mondo in
cui «tutto ciò che si vede o accade è incantato o spaventoso», un mondo fatto di stanze
e corridoi e terrazze e anditi di misteriosa bellezza, dove barbaglia, a tratti, il riflesso del
mare di Napoli.Il Monaciello di Napoli e Il Fantasma sono apparsi rispettivamente su
«Ateneo Veneto» nel 1940 e su «Nove Maggio» fra il 1941 e il 1942.
Virelli