Myra Breckinridge
La pubblicazione di questo romanzo scritto bene, ben costruito, imprevedibile, suscitò in
America un coro di grida ammirate e, insieme, un coro di voci indignate: perché questo
romanzo è un’operazione di svuotamento, di distruzione di un eroe tipicamente americano;
è l’esplorazione dei ruderi di una civiltà, del «sogno americano» caduto in cenere; ed è
l’edificazione di un mondo tutto finto, tutto di cartapesta, che beffardamente,
cinicamente, celebra in toni trionfalistici la fine di un ideale umano. Al centro del malvagio
romanzo c’è un personaggio singolare: Myra Breckinridge; un personaggio «senza qualità»,
squallido, vuoto, ambivalente. Un androgino nelle fattezze di una bellissima femmina,
cinica e falsamente sensuale, attraentissima e ripugnante. Myra è il residuo del sogno, è
ciò che ne resta dopo il diluvio. Ed è anche la finzione assoluta: perché alla fine si scopre
che Myra è anche il proprio marito, Myron, e che è anche una propria pura e semplice
invenzione. «Un libro divertentissimo e crudele, una parodia di Hollywood e dei miti
intellettuali e sessuali contemporanei» (York Times) .
Sbaraini