La coda della cometa
La coda della cometa è la cronaca, il diario della straordinaria esperienza di un comune
essere umano che ha serio motivo di credere d’essere l’unico uomo rimasto improvvisa
mente sulla terra per una causa misteriosa. E quando gli uomini fanno la loro ricomparsa, e
dopo un breve periodo di sconcerto la vita riprende il sopravvento, il protagonista rientra
nel suo guscio, nel giro abituale della sua appartata esistenza, regolata dalle leggi del
trantran quotidiano, e confortata più da modici vizi che da generose speranze.
Tra il saggio di «umorismo nero» e la parodia del racconto di fantascienza, questa “Coda
della cometa” approda, nei brevi limiti d’una città italiana del Nord al giorno d’oggi (che
potrebbe anche essere Torino), a un giudizio ironico e disincantato di alcune
caratteristiche del nostro tempo.
Il sogno di libertà del cittadino medio afflitto da superstizioni, rituali e conformismi di ogni
specie si realizza inopinatamente grazie al passaggio della cometa. Ma rimasto solo nella
città abbandonata da gli uomini, il protagonista sembra quasi non essere sfiorato
dall’inaudito della propria esperienza. L’istinto di sopravvivenza lo spinge ad applicare
freddamente le proprie conoscenze: libera o sopprime gli animali del giardino zoologico,
distrugge i cadaveri nelle celle frigorifere dell’obitorio, si procura il cibo e ogni altro
conforto nell’immenso deposito abbandonato della città.
E nella solitudine turbata da pochi ricordi e confortata dall’amicizia di un cane, ripercorre
le tappe della vita dei propri concittadini, scopre i luoghi in cui si era svolto il culto
dell’automobile, coglie il segreto interrotto di qualche vicenda privata, prolunga fino al
gesto sacrilego i repressi umori della lontana adolescenza. Ma nulla può realmente
sorprenderlo, né l’eccezionalità della propria avventura, né il ritorno alle consuetudini
quotidiane. Del resto nessuno sembra aver veramente bisogno di lui: deserta o affollata
che sia la città, la sua solitudine non cambia.
Il racconto ha un’andatura lineare, una costruzione sobria. Da un lato vi è la ballata
sconsolata e pa tetica dell’uomo medio; dall’altro la radiografia d’una città con il suo culto
del lavoro, le radicate e ormai folcloristiche tradizioni di civismo e di disciplina, gli slanci
repressi, le innocue manìe, i piccoli vizi segreti: una città moderna e antica, un po’ da
subire e un po’ da amare.
Sbaraini