Stephen King contro il Gruppo 63. 19 saggi degeneri sui generi |
Sono sempre stato un degenerato. Più di vent'anni fa, quando «le menti migliori della mia |
generazione» assicuravano che era ora di fare la rivoluzione, mi perdevo fra le bancarelle |
dell’usato a caccia di qualche vecchio giallo di John Dickson Carr. All’università mi |
parlavano di Lukàcs e Galvano della Volpe. Gli preferivo la filosofia di Philip Marlowe. La |
passione per il poliziesco, come l’odio per la , matematica, l’ho sempre considerata un |
segno spirituale incancellabile, un tratto distintivo di quel carattere che avrei tanto |
tenuto a possedere. Credevo davvero di trasgredire le convenzioni? L’infinita renitenza di |
Bartleby, lo scrivano di Melville - quel suo irremovibile «preferirei di no» - mi pareva in |
realtà l’unica arma a disposizione contro gli idoli della tribù. |
Tentennavo fra l’aspirazione alla serietà degli studi a estetica e l’ignobile vocazione a |
calarmi nelle trappole narrative del «romance». |
Ancor oggi ritengo Wilkie Collins molto più interessante di Franco Fortini. Ma non posso |
confessarlo senza sentirmi tremare le vene dei polsi: sono sì un degenerato, però del tipo |
timido. Appartengo all’ultima generazione che ha creduto nei maestri. Passeggiare sotto i |
portici bolognesi con Luciano Anceschi significava per me assorbire letteratura da tutti i |
pori. Quel piccolo uomo di grande intelligenza critica era una straordinaria palestra per |
l’allenamento della nostra vocazione segreta, a patto di possederne una. Per questo gli |
ero devoto, non potendo tuttavia fare a meno di tradirlo nel cuore di tenebra delle mie |
basse voglie letterarie. Perché in quegli anni la narrativa sembrava ormai lettera morta... |
Bonazzi |