Fantasmi nel novecento
Quella strana presenza che inquieta, quell'evento implausibile che sembra sottratto alle
leggi della causalità appartengono o no al dominio del soprannaturale? Non siamo nella
dimensione parallela della fiaba, nel meraviglioso dove tutto può accadere, ma dentro la
realtà rappresentata come tale, e proprio nell'esitazione della risposta - che Freud chiama
«conflitto di giudizio» - si insedia lo spazio narrativo del fantastico, genere tipico della
modernità nera e romantica che nel nostro Ottocento ha raccolto pochi racconti degli
scapigliati, mentre ha dato le prove migliori e più copiose in altre letterature. Esiste invece
un novelliere d'eccellenza che dagli anni venti del Novecento sino a fine secolo colloca
idealmente il neofantastico italiano accanto a Borges e Cortàzar, ossia ai maestri
riconosciuti del disorientante gioco tra codici. Per la prima volta Amigoni lo esplora
attraverso le opere di Alberto Savinio, Tommaso Landolfi, Anna Maria Ortese e Antonio
Tabucchi. È un fantastico spesso spurio, ibridato con l'autobiografico o il poliziesco: nel
repertorio classico di case maledette o statue animate, doppi o visioni oniriche introduce
elementi di più sottile ambiguità e indefinitezza, mettendo in scena il motto di Landolfi
secondo cui un mondo senza fantasmi sarebbe inabitabile. E ancor meno narrabile.
Bonazzi