Kazan
Kazan giaceva muto e immobile, col naso grigio fra le zampe anteriori, e con gli occhi
socchiusi. Una roccia sarebbe apparsa poco meno esanime di lui; neppure un muscolo si
contraeva, né un sol pelo si agitava, e nemmeno le sue palpebre battevano. Tuttavia, ogni
goccia di sangue selvaggio del suo splendido corpo fremeva di una viva eccitazione che
Kazan non aveva mai provato fino allora; ogni fibra dei suoi muscoli potenti era tesa come un
filo d’acciaio. Per un quarto lupo e per tre quarti husky aveva trascorso i quattro anni della
sua vita nelle immense solitudini del nord, e conosceva le torture della fame e le angosce del
gelo. Aveva ascoltato i venti delle lunghe notti artiche, sulle aspre distese del Barrens.
Aveva udito il frastuono dei torrenti e delle cateratte e si era accovacciato di fronte allo
strepitio poderoso della tempesta. La sua gola e i suoi fianchi portavano le cicatrici delle
battaglie, e il morso delle nevi gli aveva reso gli occhi pieni di sangue.
Si chiamava Kazan, il selvaggio, perchè era un gigante fra quelli della sua specie. Non aveva
mai conosciuto la paura, e fino a quel momento non aveva provato il desiderio di fuggire,
neppure in quel terribile giorno nella foresta quando aveva combattuto contro la grossa lince
grigia, uccidendola dopo una lunga lotta. Non sapeva ciò che ora lo spaventava, e tuttavia
era impaurito. Però capiva di trovarsi in un posto dove molte cose lo stupivano e lo
turbavano.
Viviani