Progetto Uomo |
Che cosa unisce questi diciotto racconti, oltre la comune provenienza dalle pagine di |
PlayBoy? In superficie nulla, sono abbastanza dissimili tra loro come stile letterario e come |
modo di espressione. Si passa dalla favola di Matheson, allo scherzo di Schoenstein, al |
dramma politico o psicologico di Livingston o di Knight, senza un apparente legame che |
non sia estremamente generico: l’amore, la guerra, il progresso scientifico, lo spazio. Ma |
c’è in tutti questi autori una tristezza di fondo che ci riporta a una condizione umana |
sostanzialmente pessimistica, che non è soltanto l’antico e rassegnato homo homini lupus. |
Anche i racconti apparentemente più scherzosi e futili (Goulart, Sheckley, McGivern) |
esprimono in realtà una totale sfiducia in un rapporto umano condizionato da una civiltà |
tanto progredita in superficie quanto frustrante e isolante nel profondo, addirittura |
trogloditica nella sua mancanza di comunicativa (non è un caso se negli Stati Uniti la |
percentuale dei suicidi aumenta sensibilmente nel corso di una fine settimana in cui |
l’individuo è abbandonato a se stesso nel modo più totale e sconsolante). Profeti di |
sciagure, allora, questi autori occasionali o specializzati di fantascienza? Non hanno alcun |
bisogno di scrutare in viscere metafisiche per immaginare i loro incubi multicolori: li hanno |
dinnanzi a sé, come tutti noi, schierati in bella fila, per la strada, alla tv, sui giornali: tra |
noi e loro una differenza, loro avvertono più vivamente la destinazione di questa corsa |
cieca in cui tutti siamo coinvolti e lanciano come e dove possono un grido d’allarme. Non |
un presagio, quindi, ma una diagnosi. Di più non possiamo pretendere da loro; ricordiamoci |
soltanto che negli ultimi quarant’anni non è successo nulla che non fosse stato previsto |
con molto anticipo, a volte anche nei particolari, dagli scrittori di fantascienza: dai |
risultati positivi (la conquista dello spazio) a quelli negativi (la morte chimica, la |
distruzione dell’habitat, ecc.). Un libro, però, non dev’essere soltanto un monito o un pro- |
memoria di calamità: deve anche avere un valore letterario non trascurabile a priori. La |
comparsa delle prime antologie di fantascienza è stata accolta in Italia con estrema |
sufficienza; da un racconto, magari scelto male (perché anche i curatori hanno cattivo |
gusto, non soltanto gli autori e i critici), si è dedotta una condanna senza appello di un |
genere narrativo che non manca certamente delle sue patenti di nobiltà. Devo confessare |
che nella scelta si è badato pii al lettore che non al critico: però pii d’uno tra questi |
racconti può affrontare tranquillamente una severa analisi di contenuti e di stile e nessuno |
è tanto povero da doversi vergognare di esistere. E se questa raccolta ha un significato, |
va ricercato nell’amaro trittico finale, tre apologhi sulla condizione dell’uomo, sulla sua |
incapacità a rompere il suo involucro di forze negative per essere, finalmente, padrone di |
quei nove decimi di cervello che racchiudono tesori forse perduti per sempre, per |
ignoranza, per scetticismo, per sfiducia, per superstizione. Da sempre, il triste leit motiv |
della storia dell’uomo. |
Tellini |