L'anello intorno al sole
Ring Around the Sun è già apparso in Italia, a puntate, nell’estate-autunno del 1955, in
una versione ridotta ed ampiamente rimaneggiata. Lo riproponiamo ora, sia per dare a
Simak quello che è di Simak, sia per premiare gli affezionati del genere con una ghiotta
rarità, sia per regalare un’autentica perla del grande Clifford ai nuovi lettori che si sono
accostati a frotte alla Fantascienza (e la “ effe” maiuscola non è un errore di stampa).
Negli ultimi tempi, infatti, i lettori di Fantascienza sono più che raddoppiati. Non è
propaganda: le statistiche parlano chiaro. Dopo un primo “boom”, intorno al ‘50, ci fu un
periodo di crisi, a seguito di un’orripilante proliferazione di pubblicazioni, su cui appariva, a
scopi chiaramente speculativi, qualsiasi cosa avesse anche solo un vago sentore di
fantascienza (e nemmeno qui la “effe” minuscola è un refuso). Ma ora la Fantascienza, in
Italia, che in questo campo è all’avanguardia nell’Europa continentale, si è fatta adulta,
ha superato la crisi di crescenza e coloro che si erano disamorati tornano con rinnovata
fiducia e molti affrontano da neofiti questa Fantascienza matura. E non esclusivamente di
produzione straniera. Per questo, dunque, proponiamo questo romanzo ai lettori di
Galassia. Simak non avrebbe bisogno di presentazioni. Avesse scritto solo l’ormai classico
City (Anni senza fine) o il più recente Why Call Them Back from Heaven? (apparso nel n.
100 di Galassia col titolo di Infinito) potrebbe già essere classificato come uno dei più
grandi, se non il più grande (Bradbury fa caso a sé) degli scrittori di Fantascienza. Ma
vale comunque la pena, soprattutto per i neofiti, di spendere qualche parola. In questo
romanzo, compaiono i temi cari a Simak: la teoria dei mondi paralleli (vedi, ad esempio, il
già citato City, o The Big Front Yard, premio Hugo per il 1959 e apparso in un’antologia di
racconti premiati, col titolo L’aia grande, o il più recente All Flesh is Grass, apparso sul n.
105 di Galassia col titolo Il villaggio dei fiori purpurei); la sua struggente simpatia per i
diseredati, per coloro che la nostra società dei consumi considera dei falliti e che per
Simak sono invece il sale della terra, la più grande e forse l’unica speranza dell’umanità:
infatti, il vero protagonista corale di questo romanzo è Asa Andrews, prototipo di pioniere
e di disadattato; la sua non-ostilità, che a volte sconfina nella simpatia, per ciò che è
alieno. Il tutto presentato con quell’inconfondibile vena malinconica, ma irresistibile, che
traspare dalle poetiche, quasi accorate, descrizioni di paesaggi, situazioni e sentimenti. Il
romanzo risente forse, qua e là, del fatto di essere nato già all’origine come romanzo a
puntate, ma la genialità dell’intreccio, in questa storia di mutanti e di un mondo dominato
dall’inerzia e dalla vuotezza spirituale, e l’indiscutibile abilità dell’autore consentono solo al
più pignolo ed arrabbiato dei critici di notarlo. Ma forse è meglio che non continui, prima
che mi si accusi di avere un debole per Simak (il che è assolutamente vero!) e lasci ai
lettori il compito di scoprire lo stile incomparabile e la fantasia senza fine di Clifford Simak.
Un’ultima annotazione: il romanzo è del 1952 e descrive un mondo del 1977, in cui, come
afferma il protagonista, l’uomo non ha ancora raggiunto la luna. Beh, a Simak si perdona
questo ed altro!
Tellini