La nube purpurea
«Quando lessi La nube purpurea pensai che forse sì, c’era un misterioso, occulto,
magmatico e magnetico caso Shiel. La nube purpurea era un libro matto e rapinoso, un
sogno, un delirio, un’allucinazione, era un oggetto letterario di forma e dimensioni
inconsuete; era un animale impossibile, venuto dallo spazio o forse salito dalle schiume
d’Acheronte. Teneva assieme l’accelerazione perversa di quel libro la cupa, geometrica
concentrazione, un’unità di tema che s’accompagna ad un’estrema sobrietà di personaggi,
un Adamo ed una Eva, unici abitanti di un mondo disfatto. Se ripenso ora la riuscita
straordinaria e enigmatica della Nube purpurea, mi pare che essa fosse dovuta appunto
all’intervento di una poderosa vincolante figura retorica, l’antica “unità”, che aveva
tenuto assieme un materiale che aspirava al riposo del delirio. Quella “unità” aveva agito
sulla vocazione caotica del linguaggio, l’aveva gelato in una forma che rancorosamente
reggeva» (Giorgio Manganelli).
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