Il libro di Fars
Il mito di Gilgamesh è uno dei più alfascinanti ed uno dei più antichi della storia
dell’umanità. Alcune scene del mito appaiono già su sigilli cilindrici del III millennio A.C.,
anche se la redazione più completa del testo del poema risale ai tempi di Assurbanipal
(669-628 a.C.). Le origini della leggenda non sono molto chiare, e la figura dell’eroe
presenta tratti derivati da civiltà diverse, come se alla sua creazione avesse contribuito la
confluenza di diverse culture. L’epos di Gilgamesh è la prima storia in cui i temi dominanti
siano l’amicizia — una amicizia scaturita dalla reciproca stima, più che dalla reciproca
convenienza, — l’ansia di conquistare l’immortalità, una profonda, rassegnata
accettazione del destino della razza umana. E, nello stesso tempo, è uno dei primi testi
cui possiamo attribuire il fascino d’una storia in cui cognizioni reali si esaltino in una nuova
dimensione, attraverso il gioco fantastico, senza sconfinare nella pura favola. In un certo
senso, l’epopea di Gilgamesh precorre le teorie della moderna science-flction. È
innegabile, fra l’altro, che le zone della Terra che l’ignoto autore dell’antichissimo poema fa
attraversare a Gilgamesh, nella sua disperata ricerca dell’immortalÌtà, fossero allora più
sconosciute di quanto lo siano, per noi, la superficie della Luna o di Marte. La fortissima
suggestione che questo mito esercita sui cultori della fantascienza è indubbia. Wilson
Tucker prese a prestito Gilgamesh per trasformarlo, nel suo romanzo I Signori del Tempo,
in un visitatore extraterrestre, disceso sul nostro pianeta da tempi remotissimi ed ancora
vivo fra noi, in lotta contro una donna della sua stessa razza per difendere i diritti della
nostra umanità. Più umilmente, senza le brillanti audacie di Tucker, mi sono limitata a
svolgere il tema della leggenda ormai senza età mantenendo, nei limiti del possibile, la sua
atmosfera mitica, ricostruendola secondo una interpretazione di cui certamente non è il
caso di sostenere, neanche lontanamente, una pretesa di attendibilità. Non intendo
affermare che Gilgamesh sia stato in realtà il sovrano di un Impero stellare, disceso per
caso sulla Terra nella sua disperata ricerca dell’immortalità, ed incappato nella
incarnazione vivente del mito di Utnapshtin — il Noè assiro — o nei cittadini di quella
Gomorra che una recente, ardita tesi di studiosi sovietici sostiene sia stata annientata da
una antichissima esplosione atomica, forse ad opera di creature extraterrestri, le quali
avrebbero anche costruito un astroporto di cui sarebbero ancora identificabili le tracce:
voglio soltanto affermare che una simile soluzione del mito sarebbe affascinante, e che
un’origine stellare per la storia di Gilgamesh sarebbe senza dubbio meritata. Il rispetto per
il tema conduttore è, del resto, piuttosto relativo: tra le due lezioni sull’esito del duello tra
Gilgamesh ed Enkidu, l’essermi riferita a quella accolta nello sbrigativo condensato del
Gaster (cfr. Le più antiche storie del mondo — Einaudi, 1960 — pag. 41) piuttosto che a
quella riportata nel testo commentato acutamente da GB. foggia (L’epopea di Gilgamesh
Fr. Bocca, 1944 — pag. 100) non significa che io ritenga quella più ortodossa di questa;
significa soltanto che mi sembrava più interessante ai fini della rappresentazione degli
avvenimenti. Non ho avuto infatti la pretesa di costruire una parafrasi romanzesca ad una
realtà archeologica e letteraria, ma semplicemente di raccontare una storia, per me
affascinante, in chiave di science-fiction. Roberta Rambelli
Tellini