Il veliero dei ghiacci
Non è del tutto infrequente che l’ipotesi di una nuova epoca glaciale venga assunta come
fondamento per un romanzo di fantascienza. Di solito, gli autori si compiacciono, in questo
caso, di descrivere l’instaurarsi del fenomeno, e presentano un’umanità morente, che si
adatta faticosamente alle nuove condizioni di vita. Il veliero dei ghiacci, invece, ci
presenta un mondo in cui la glaciazione si è stabilita ormai da migliaia di anni, e in cui gli
uomini si sono adattati ormai da molto tempo. Abilmente, Moorcock assume i motivi
classici dei romanzi marinareschi e addirittura di quelli, popolarissimi, che hanno a
protagonisti esploratori dei ghiacci e cacciatori di balene: e vi aggiunge l’ingrediente
tradizionale della quest, della ricerca, che la fantascienza sembra mutuare spesso, per
una contraddizione più apparente che reale, dai romanzi medievali. Come in molti di questi,
anche la ricerca di Arfiane, il duro protagonista del romanzo, è mistica: egli si lascia
indurre al viaggio straordinario dal desiderio di trovare il palazzo della fiabesca Madre del
Ghiaccio, divinità suprema immaginata dalla fantasia degli uomini, eppure stranamente
allusiva di una fondamentale legge fisica. Ciò che troverà, alla conclusione della sua
navigazione, del tremendo viaggio, stabilirà in realtà una contraddizione feroce e
insopportabile con la base stessa della sua fede, ma non riuscirà a scuoterla. Konrad
Arflane è un personaggio nello stesso tempo stereotipato e inconsueto: è uno dei tanti
‘duri’ che la letteratura e il cinema americano hanno imposto per anni, l’uomo forte e
taciturno, semplice ma capace di condurre se stesso e gli altri ad imprese impensabili. Ma
nello stesso tempo, la superstizione che è annidata in lui e che si sviluppa in un
crescente, inconsapevole sentimento di colpa lo rende diverso: incomprensibile e insieme
patetico. Altre figure appaiono tracciate con buona fermezza da Mooock: l’allucinato
Urquart. il freddo, ironico, saggio Manfred Rorsefne, il velleitario e risentito Janek Ulsenn,
la fragile, sperduta Ulrica, sempre divisa tra contrastanti lealtà. Il romanzo può essere
definito un romanzo d’azione nella buona tradizione fantascientifica, con in più qualche
tocco di inquietante fanatismo e di ambiguità che lo rendono accettabile anche a quei
lettori che cercano una plausibilità psicologica nei personaggi che incontrano. Lo stile,
scarno e sobrio, ma spesso efficace, sembra sintonizzarsi con il paesaggio eternamente
gelido che fa da sfondo all’avventura: e la progressione della vicenda, ben congegnata ed
implacabile, finisce per accattivare all’autore, non tra i più noti ma neppure tra i minori
della science-fìction, l’interesse dei lettori.
Tellini