La scimmia e l'essenza
Con la scimmia e l'essenza, Huxley ci proietta nel 2108, in un mondo totalmente devastato
da una terza guerra mondiale, da cui si sono salvate soltanto la Nuova Zelanda e l'Africa
equatoriale. E così, mentre i neri africani risalendo il corso del Nilo invadono l'Europa e
praticano i riti della circoncisione nelle sale del Vaticano, i primi esploratori neozelandesi si
avventurano sulle coste della California, dove il potere è ormai in mano alle scimmie, che
dominano su tutto e portano al guinzaglio Einstein clonati. Tra le rovine di Los Angeles
sopravvive anche un residuo degradato di uomini, che brucia i libri e pratica il culto di
Satana, dio rovesciato di una logica perversa che ha condotto l'umanità a quelle estreme
conseguenze. Lo scrittore si serve dell'espediente classico del manoscritto ritrovato per
raccontare la sua utopia in nero, anche se, non di un dattiloscritto narrativo si tratta,
bensì di una sceneggiatura rifiutata. Così a una prima parte, in cui viene disegnato
l'ambiente cinico e superficiale di Hollywood, ne segue un'altra che si struttura come un
copione cinematografico, con una voce fuori campo - il narratore - che spiega e raccorda
le varie sequenze. E secondo i canoni dei film di successo, c'è anche una storia d'amore
che nasce tra un esploratore e una ragazza neoselvaggia; anzi, alla loro fuga l'autore
affida l'unico messaggio di salvezza in una visione così grottesca e sconsolata del futuro.
Con questo romanzo, Huxley riprende il tema swiftiano di alcuni suoi testi, ma ne esaspera
i toni. E se la scelta tra capitalismo e comunismo, tra progresso tecnologico e
annullamento dell'individuo, drammatizzava la narrazione de "Il mondo nuovo", in questo,
scritto dopo la seconda guerra mondiale e gli esperimenti atomici, alle varie forme di follia
sembra precluso ogni scampo, se non il rifugio in uno spiritualismo isolante ed elitario.
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