Nel castello di Argol
Di "onnipotente riserbo delle cose" parla Julien Gracq in uno dei suoi libri. Con forse
altrettanta proprietà se ne pub parlare a proposito di questo, dove il riserbo è la forza
magica e scatenante di un dramma che le parole non avrebbero saputo né
esprimere, né, forse, evitare.

In un castello isolato nel paesaggio bretone, il giovane proprietario, Albert, riceve la visita
del suo amico di adolescenza Herminien e della bellissima donna che lo accompagna,
Heide.
Tra loro si annodano subito rapporti di natura indefinibile e di straordinaria intensità, che
ciascuno dei tre osserva con curiosità spaventata e contribuisce a portare fino alle
estreme conseguenze. Il numero ristretto dei personaggi è del resto significativo:
di un mondo chiuso nel quale sono presenti tutte le possibilità di gesti e di sentimenti; e,
come avverte lo stesso autore, del carattere interiore del dramma. Quello che accade tra
loro è accennato dalle parole, non spiegato, ma "illuminato"
come fasci intermittenti di luce che li colgono in alcuni momenti di elezione del loro
sodalizio.
Ma tutta la tensione creata dall'esistenza di ciascuno di fronte agli altri si risolve
puntualmente in alcuni avvenimenti che sono gli atti della loro misteriosa tragedia.
Misteriosa, non perché questi avvenimenti non siano in se stessi ferocemente
semplici, ma perché non possono essere compresi altro che attraverso questa
concentrazione di "luci " che li abbagliano da ogni parte, cosi come un oggetto immerso
nell'oscurità, da qualsiasi punto sia rischiarato, getta un'ombra dietro
di sé che è a sua volta la sorgente di un nuovo mistero.

Nato nel 1910, Julien Gracq vive a Parigi ed è professore di storia. Col romanzo La Riva
delle Sirti (1951), ha vinto il Premio Goncourt e lo ha rifiutato.
Le sue prime opere sono legate al movimento surrealista dell'ultimo periodo, quando il
movimento si stava sfasciando intorno al suo iniziatore André Breton e aveva bisogno di
trovare un modo di andare oltre se stesso e di far confluire le sue
conquiste in un linguaggio diverso.
Di questo romanzo, che è del 1939, Breton ha scritto che è l'opera "dove certamente per
la prima volta il surrealismo si ripiega liberamente su se stesso per confrontarsi con le
grandi esperienze sensibili del passato e misurare sia sotto l'aspetto dell'emozione sia
sotto quello della visione chiarificatrice, l'ampiezza della conquista".
Fabriani