Venere sulla conchiglia
Simon Wagstaff, lo ”spaziale errante”, è un terrestre che non invecchia mai e da migliaia
di anni s’aggira per le taverne degli spazioporti con la sua chitarra, in blue-jeans e logoro
maglione grigio, cantando malinconiche canzoni spaziotemporali. ”Ma come fai – gli chiede
un’amica dopo aver fatto l’amore con lui sulla testa della sfinge di Gizeh – a essere così
triste, quando c’e il sole?” ”Scusami – dice Simon, – il mio sole è nero.” Così prende l’avvio
uno dei più travolgenti, sensazionali, cinici, scandalosi, gioviali, blasfemi, corrosivi, erotici,
demitizzanti, mistificanti, avventurosi romanzi di tutta la fantascienza spaziale, che nel
1975 uscì per precauzione con lo pseudonimo di Kilgore Trout, ma di cui ora si sa che è di
Ph. J. Farmer, lo scrittore che per primo (come si legge nelle enciclopedie) ”introdusse il
vero sesso in fs”.
Tellini