Campo Archimede
La science-fiction concentra la sua attenzione, nella scia degli allarmati libri di Rattray
Taylor, sulle ripercussioni che avrà (o che ha) sull’uomo il travolgente progredire della
biochimica e la manipolazione, consapevole o no, del bagaglio genetico di singoli individui e
d’intere popolazioni. Messaggi di paura e di speranza, come ad esempio ‘The Methuselah
Enzyme’ di Fred Mustard Stewart; ‘Hauser’s Memory’ di Curt Siodmak; e soprattutto ‘The
Simultaneous Man’ di Ralph Blum. Perfettamente in linea, ecco Thomas M. Disch, col suo
‘Camp Concentration’ (L’inferno a Campo Archimede), in cui la polemica, condotta con
mano da maestro su diversi piani, si snoda entro un inferno di nuovo tipo, con sullo sfondo
un mondo travolto da una guerra assurda. La trama in sé, sia pure con l’incisività della
sua demistificazione antimilitarista, antiscientifica (la scienza irresponsabile, beninteso), e
alla fine anche anticontestatoria, non è certo l’elemento più importante del libro,
sviluppando in definitiva un tema classico, che giunge a noi in linea diretta dalle leggende
dei ‘golem’ e financo da Edgar Wallace. Quello che conta è il particolare tono narrativo, in
prima persona eppure così lucidamente oggettivizzato, il taglio delle scene, un’ambiguità
allucinante e strettamente funzionale. Il protagonista è un intellettuale, dotato di una
buona dose di snobismo del quale impregna perfino la sua lotta esistenziale. In fondo, non
è che egli stimi molto l’uomo ‘tout-court’, tant’è vero che il principale degli errori di questo
libro è appunto un procedimento artificiale tra i più disgustosi per accrescere a dismisura
l’intelligenza: questa, che dovrebbe essere la nostra principale virtù, viene travolta nella
pregnante sordidezza del metodo e, in definitiva, non si riscatta. Non si sa bene se Louis
Sacchetti, il nostro uomo, che ha scelto la prigione e i tormenti per un atto di protesta
generico ammantato di una ideologia (il Comunismo) che in verità non condivide, si offra
come olocausto cosciente, o se in realtà non si tratti, attraverso una ‘resistenza passiva’
alla Gandhi spinta agli estremi, di un raffinato suicidio, un rifiuto per una condizione vitale
che comunque sarà sempre insostenibile. Soltanto i valori della cultura, più che quelli
dell’intelligenza, sono validi per Louis Sacchetti, e quindi anche per Thomas M. Disch che
ne agita le fila. Louis Sacchetti, e quindi Disch, dimostrano una conoscenza profonda,
particolareggiata, della letteratura e dell’arte attraverso i secoli, sia pure con una
predilezione per il sortilegio e il demoniaco. Con la cultura, il dubbio sistematico, gli
esoterismi alchemici, si combatte una battaglia contro il dogmatismo, una battaglia, alla
fine, vinta, e con le armi sconosciute che i tormentatori hanno forgiato, ignari, per le loro
vittime. Ma anche i ‘giusti’ si accorgono con orrore di essere stati trascinati a cavallo della
tigre, e di non poter più discendere: nelle ultimissime pagine, nelle ultimissime righe, la
distinzione tra buoni e cattivi sembra perdere ogni significato (sconfitto il Diavolo, la
mancanza del grande nemico sembra lasciare un vuoto incolmabile nel protagonista: che
fare, adesso?). Il dubbio si ritorce contro chi l’ha suscitato, e tutta la cultura e
l’intelligenza non servono a scioglierlo: anzi, lo rendono ancora più consapevole e
angoscioso. Un’opera aperta, quindi, sulla quale la critica inglese, specializzata o no, ha
fatto piovere gran copia di aggettivi laudatori, la cui varietà (e qualche volta
contraddittorietà) testimonia fascino e, perché no?, sbigottimento.
Tellini