Il Monte Analogo
Un gruppo di singolari ed esperti alpinisti, certi dell’esistenza, in qualche parte del globo, di
una montagna la cui vetta è più alta di tutte le vette, decide un giorno di partire da
Parigi per tentare di scoprirla e di darne la scalata. Dopo una navigazione «non euclidea»,
a bordo di un’imbarcazione chiamata l’Impossibile, gli esploratori approdano
nell’isola-continente del Monte Analogo, dove trovano una popolazione, dagli usi
apparentemente stravaganti, che discende da uomini di tutti i tempi e che, come loro,
vive ormai, soltanto, nella speranza di scalare la vetta. Un breve soggiorno nel villaggio di
Porto-delle-Scimmie, e il gruppo dei nostri alpinisti intraprende l’ascensione, arrivando in
vista del campo base. A questo punto il racconto s’interrompe: siamo soltanto all’inizio di
un viaggio – che forse è sempre, continuamente, all’inizio – quando la morte coglie René
Daumal, l’autore di questa storia, impedendogli di descrivere il seguito della scalata al
monte simbolico che unisce la Terra al Cielo.
Sotto le parvenze di un romanzo d’avventure, o di un racconto fantastico, Il Monte
Analogo, pubblicato postumo nel 1952, ci offre una «metafisica dell’alpinismo» che è,
anche, un itinerario minuzioso, lentamente maturato nelle esperienze dell’autore, verso un
centro, sentito come liberazione della persona da ogni suo limite, verso una vetta in cui,
al disopra di ogni specifica contraddizione, ciascun uomo attui le proprie umane possibilità.
Con la leggerezza propria del saggio, facendo uso nel racconto di storie, canzoni,
deduzioni, miti e dimostrazioni, Daumal trasporta il lettore nel regno dell’analogia, dove
niente è vero ma tutto è veridico, per un parallelismo tra realtà raggiunta e realtà
raggiungibile attraverso un metodo (cioè: il «mettersi sulla via») che fa cadere i nostri
schemi difensivi e ci porta a contemplare con occhi nuovi il nostro paesaggio interiore
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