Cuor di padrone
Nell’apparente quiete di un paesaggio lacustre percorso da misteriose vibrazioni un cane, un
miserabile bastardo, consuma la sua allegorica avventura di insediamento in un corpo umano.
Nel
romanzo, spietato e grottesco, che potremmo definire fantaecologico, la natura è in
rivolta, la
tensione si spezza, esplode in un’assurda metamorfosi. Contagiato dall’odio e
dall’erotismo malato
in cui si dibattono gli uomini, il cane cova la sua astuta maturazione,
sulla scia degli animali sapienti del circo, dei cavalli che sanno di conto, zoccolanti su idonei
pallottolieri. In questo
mondo precario, dove anche il vento sembra partecipare a una
specie di psichismo collettivo, irrompono perfino episodi di sapore giallo, a sottolineare la
patologia dell’uomo che si degrada in
un processo d’imbestiamento e dell’animale che sale
piano, sino al transfert finale, i biechi
gradini di un processo di umanizzazione.
Fambrini