Il pavese errante. Una storia pavese d'oggi
Una figura, silenziosa come un’ombra, si aggira per la città immersa nella nebbia. Indossa un
cappotto lungo e grigio. Grigi sono i capelli che incorniciano un volto stanco, pallido, dai
“lineamenti marcati, anzi rozzi, naso forte, zigomi ossuti, guance mal rasate e scavate; ma a
dare l’impressione desolata della vecchiezza, e insieme ad incuter un certo quale pietoso
rispetto, è la bocca, amara e rientrante, come di chi non ha più denti”.
Si tratta di un certo Luigi Antonio Agosteo, (un nome noto ai lettori del precedente libro di
S. Siro “Margherita Cantarana”: il nome stesso dell’assassino di Carlo Capsoni, il giovane
repubblicano innamorato di Margherita, ucciso nel maggio 1796) divenuto “quasi un ebreo
errante, eternamente condannato a vagare, tormentato dal rimorso per il delitto compiuto, e
senza speranza di perdono”.
Chi è, ora, quest’uomo che dice d’essere stanco di vivere; che dice di aver vagato da circa
due secoli per il mondo, di non sopportare più il peso del rimorso, gli urli laceranti della
coscienza? Chi è quest’uomo che chiede allo scrittore di porre fine alle sue pene? Quest’uomo
che mostra di conoscere particolari precisi sulla storia di Pavia? Milani, esterrefatto,
incredulo tra pietà e curiosità, angoscia e timore fronteggia l’ombra misteriosa; e il racconto,
snodandosi sui fili del più puro surrealismo, costantemente caratterizzato dai connotati
drammatici ed inquietanti dell’autentico thriller, trova il suo epilogo nei pressi del ponte dei
dodici archi.
Piccinini