Frankenstein
Frutto perverso degli esperimenti di uno scienziato “apprendista stregone”, espressione di
una visione apocalittica della scienza, la creatura di Frankenstein è tuttora la raffigurazione
del “mostro” per eccellenza, materializzazione vivente delle nostre paure. Mary Shelley,
cresciuta in un ambiente intellettuale di prim’ordine nell’Inghilterra al passaggio tra Sette e
Ottocento, scrive – ispirandosi ai miti di Faust e Prometeo – uno dei più famosi best-seller del
secolo scorso, che fin dal suo apparire (1818) suscita grandissima impressione e scandalo,
guadagnandosi migliaia di lettori e rendendo di colpo famoso il nome della sua autrice. Oggi, a
distanza di oltre un secolo e mezzo, Frankenstein fa ormai parte (grazie anche alle
numerosissime trasposizioni cinematografiche, fra cui ultima quella di Kenneth Branagh e
Francis Ford Coppola con Robert De Niro) dell’immaginario collettivo: una “porta oscura” della
nostra mente dietro la quale – come ebbe a scrivere J. Sheridan Le Fanu – «il mortale e
l’immortale fanno prematura conoscenza».
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